Nella vita quotidiana si prendono continuamente decisioni: in alcuni casi queste sono quasi inconsapevoli o comunque immediate. In altri casi prendere una decisione può essere un processo più lungo, articolato e difficile, magari che implica anche un forte coinvolgimento emotivo.
Per semplificare il concetto possiamo definire la decisione come la scelta, di un individuo o di un gruppo, di intraprendere un’azione tra più opzioni possibili. Oggetto di studio da parte di molteplici scienze e discipline, il concetto di decisione riconduce a quello di libertà. Perché si possa parlare propriamente di decisione è infatti necessario che il decisore abbia di fronte a sé una pluralità di opzioni: la scelta obbligata, in assenza di alternative, non è una decisione.
In genere la presa di decisione è messa in atto per poter risolvere un problema. In termini psicologici, tuttavia, esiste una certa differenza tra decidere e risolvere un problema.
Nel problem solving il nostro atto decisionale è sempre vincolato all’obiettivo che vogliamo raggiungere, mentre nel decision making l’atto di decisione è rappresentato da un ragionamento di scelta dell’alternativa più adeguata all’interno di una serie di opzioni (Pravettoni, Leotta, Russo, 2015).
Il processo decisionale può, in sintesi, essere considerato come il risultato di processi cognitivi ed emozionali, da cui scaturisce una scelta, una via da percorrere all’interno di più opzioni possibili.
In questa scena tratta dal film “The Children Act – Il Verdetto”, Emma Thompson veste i panni di un giudice che deve prendere una difficile decisione in merito ad un intervento chirurgico per la separazione di due gemelli siamesi. Cosa fare? Autorizzare l’intervento con l’inevitabile morte di uno dei gemelli e contro la volontà dei genitori o non autorizzarlo, destinando a morte certa entrambi i gemelli? Intervenire su ciò che la natura o Dio hanno creato, oppure no?
In questa difficile decisione entrano in gioco la ragione, che si manifesta attraverso ciò che la Legge prevede in questi casi, e le emozioni, il cuore. Il giudice è dibattuto, fatica a decidere, studia il caso, raccoglie informazioni e testimonianze e, nel poco tempo a sua disposizione, è costretta a fare la difficile scelta, ad esprimere il suo verdetto. Decisione che impatterà sulla vite dei gemelli, dei genitori e di tutti i loro affetti. Decisione che, come spesso succede anche nelle nostre vite e nelle nostre organizzazioni, non viene condivisa ed accettata da tutti.
Quanto tutto questo la fa sentire sola? Quanto condividere le decisioni difficili potrebbe essere funzionale sia per la qualità del processo decisionale stesso che come supporto a chi di fatto ha la responsabilità della scelta finale?
Frank Gehry scrive: “Fate il meglio che potete e poi aprite l’ombrello, in modo che la pioggia delle critiche non vi bagni”, forse anche ad indicare che quanto più siamo consapevoli dei criteri decisionali adottati più diventa facile essere invulnerabili alle critiche ingiuste. Almeno questo è ciò che tenta di fare il giudice Fiona Maye nel film.
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Cristiana Genta è una psicologa e consulente HR. Maggiori informazioni sulla sua attività a questo link: https://cristianagenta.it/
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“The Children Act – Il verdetto” (The Children Act) è un film del 2017, diretto da Richard Eyre, con Emma Thompson, e basato sul romanzo del 2014 “La ballata di Adam Henry”, scritto da Ian McEwan.
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Il giudice decide di salvare uno dei due bambini in contrasto con la volontà dei genitori. Quel bambino dovrà crescere proprio con quei genitori e da loro ricevere una educazione alle vita. Ma quei genitori saranno in grado di far diventare adulto quel loro figlio, salvato contro la loro volontà, in maniera serena?
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