Scena sulla comunicazione medico-paziente: abbracci, gentilezza e amore

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Mi chiamo Temple Grandin e non sono come le altre persone.

Questa è la frase con cui ha inizio, mentre scorrono i titoli di testa, il film Temple Grandin. Una donna straordinaria.

Una donna che soffre di autismo e che incontra, fin da bambina, persone che comunicano con lei e/o con sua madre in modo più o meno efficace. Parenti, compagni di scuola, medici, professori…

Nella prima scena vediamo una giovane Temple, già adolescente, alle soglie del college, con la zia che le insegna a conoscere (e riconoscere) le emozioni e le loro “facce”, cioè, il modo in cui manifesta esternamente la felicità, la rabbia, la soddisfazione… e poi la “soluzione” che Temple trova per placare una crisi, chiedendo alla zia di stringerla in una macchina che normalmente veniva utilizzata per le mucche.

La soluzione da cui trarrà spunto per inventare la sua “macchina degli abbracci” che diventerà la sua strategia fisica/fisiologica per “contenere” le emozioni e cambiare “stato”.

Subito dopo, un salto indietro nel tempo, al colloquio tra il medico e sua madre il giorno della comunicazione della diagnosi.

Neanche una domanda aperta, se non per conoscere l’età della bambina. Per il resto affermazioni perentorie, senza via di scampo, senza neanche il tentativo di ascoltare, accogliere le informazioni, le preoccupazioni, le emozioni della madre di Temple.

Eppure, il buon senso da una parte e, dall’altra, gli standard internazionali della comunicazione della cattiva notizia, (come per esempio il modello Calgary-Cambridge o il modello SPIKES di Robert Buckman) prevedono comunque l’ascolto, la comprensione della prospettiva del paziente/familiare e il favorire l’espressione da parte loro delle emozioni.

  • Medico: Le interessa giocare con gli altri bambini?
  • Madre: No, non molto.
  • Medico: Ha dei giocattoli? Delle bambole?
  • Madre: Si diverte a rompere le cose.
  • Medico: E non ha ancora parlato. Che età ha la sua bimba?
  • Madre: Quattro. Ha quattro anni… No, non ancora. Sono sicura che sia solo una fase ma…
  • Medico: Sua figlia è chiaramente autistica
  • Madre: (con tono perplesso, interrogativo) Autistica…
  • Medico: soffre di schizofrenia infantile
  • Madre: infantile… quindi quando ne uscirà? Qual è la prossima fase?
  • Medico: di norma suggeriamo un istituto
  • Madre: per quanto tempo? Non penso di poterlo fare: Non vorrei perdermi le sue prime parole…
  • Medico: Probabilmente non parlerà mai. Temo non ci sia nessun tipo di cura. Se non farla vivere in un istituto adeguato.
  • Madre: Ma… vede, Temple è sempre stata una bambina normale. È da poco che ha cominciato a cambiare. Vorrei riuscire a capire come, perché.
  • Medico: Non credo possa c… Mi faccia chiamare da suo marito.
  • Madre: Mio marito è un uomo molto impegnato. Io mi sono laureata a pieni voti. Può spiegarlo a me.
  • Medico: è molto probabile che non venga instaurato un legame affettivo con la madre. Forse in una fase cruciale dell’esistenza, quando il soggetto aveva bisogno di attenzioni fisiche la figura materna era fredda, distaccata.
  • Madre: Ma non è andata in questo modo! Ho un’altra figlia e non si comporta così. Non ho fatto niente di diverso. Temple mi respinge, mi impedisce di toccarla, di abbracciarla, di accarezzarla. Credo che la colpa sia mia. Quindi proverò a rimediare. Mi dica solo cosa devo fare.
  • Medico: Come le ho già detto, suggerisco un istituto.

Ma la madre di Temple  ha altre convinzioni e comincia a provare a fare qualcosa.

In un’altra scena assistiamo al colloquio tra Temple e un suo terapeuta. Anche in questo caso, neanche una domanda aperta tanto che le risposte di Temple si limitano a un sì o a un no e poco più.

  • Medico: Dunque quando sei entrata nella macchina ti sei sentita come una mucca?
  • Temple: No, non mi  sono sentita una mucca.
  • Medico: Però ti sei sentita meglio.
  • Temple: Sì, mi ha fatto stare meglio. Più tranquilla.
  • Medico: L’abbraccio ti ha fatto stare meglio. Ma non ti piace essere toccata dagli altri.
  • Temple: No.
  • Medico: Ti infastidisce toccarti da sola?
  • Temple: (dopo essersi toccata la mano) No, farlo da sola va bene.
  • Medico: Ma se lo fa la macchina è meglio?
  • Temple:
  • Medico: Ti dà sollievo?
  • Temple: Sì, mi da sollievo.

Quali e quante informazioni avrebbe potuto ricevere il medico facendo qualche domanda aperta?

In ogni caso, probabilmente per lui non era importante visto che poco dopo a Temple verrà tolta la sua macchina dell’abbraccio. Per poterla tenere, troverà il coraggio e la forza di proporre un esperimento per tutti gli studenti del college.

A questo punto un nuovo salto indietro nel tempo, al momento in cui la madre di Temple la accompagna in una nuova scuola.

Questa volta il dialogo è tra il professore di Scienze e la madre. Anche questa volta si parla della malattia di Temple, della scelta di lasciarla in un Istituto, eppure cambiano i toni, cambia la qualità dello scambio e, soprattutto, cambia il risultato.

Del resto, la comunicazione efficace si misura dal risultato che ottieni. Giusto?

Madre: Stia a sentire, io ho fatto tutto quello che ho potuto per aiutare Temple. E se questo non è abbastanza… beh, non so proprio cosa farci.
Lei non potrà neanche immaginare tutta la confusione, i capricci, lo scompiglio, la pena, la sua pena…

Prof.: Sta parlando come se avesse fatto qualcosa di sbagliato finora, quando invece è evidente che si è comportata nel modo migliore. Temple è straordinaria.

Noi genitori vorremmo il meglio per i nostri figli e se questo non accade siamo pronti ad assumercene la colpa e in più nessuno è in grado di capire minimamente quello che stiamo affrontando e ci sentiamo soli. Non è così?

Signora Grandin, io sono solo un insegnante di Scienze, non sono io ad ammettere quegli studenti. Ma credo che questo sia il posto più adatto per sua figlia e sarei felice di farle da insegnante.

Madre: I medici hanno sempre voluto che la chiudessi in un Istituto, ma per me lasciarla qui dentro vorrebbe dire in qualche modo abbandonarla, capisce…

Prof.: Ma non è così! Sarebbe invece il primo passo per aiutarla a farsi strada nel mondo.

Mi rendo conto che vedendola vittima dello scherno degli altri questo sia il suo modo di proteggerla.

Madre: è naturale

Prof.: Certo, quale genitore non lo farebbe? Ma a un certo punto dovrà affrontare la vita e mi creda… sappiamo entrambi quanto lei sia diversa.

Madre: Diversa, non inferiore.

Prof.: Diversa, ma non inferiore.

È lo stesso professor Carlock a capire che Temple pensa, ragiona e impara meglio per immagini, cioè, utilizzando il sistema visivo. Ed è sempre lui a farla sentire speciale, a incoraggiarla a sviluppare questo talento e a vedere il college come un mondo nuovo da scoprire.

Prof.: Tu hai una mente davvero speciale. Lo sai? Riesci a vedere il mondo in modo diverso dagli altri. Ed è un bel vantaggio. E puoi ben immaginare che se riuscissi a sviluppare questo talento affronteresti il college senza problemi.

Temple: E cosa dovrei fare al college?

Prof.: Con la testa che hai puoi scegliere qualsiasi materia.

Di fronte alle resistenze di Temple il prof. la “guida” in una visualizzazione attraverso l’uso di una metafora che la accompagnerà in ogni sua “sfida” di lì in avanti.

Prof.: Temple prova a immaginare una porta. Una porta che si apre su un mondo del tutto nuovo per te e l’unica cosa che devi fare è decidere di oltrepassarla.

Il professor Carlock resterà per sempre un mentore e uno sponsor di Temple, per aver creduto in lei e per aver visto la sua straordinarietà. E la metafora della porta la accompagnerà in tutte le sue “sfide”.

Il professor Carlock riesce a comunicare dicendo le cose giuste nel modo giusto:

  • Riconoscendo e rincorniciando le affermazioni della madre sul suo senso di colpa, impotenza… (ho fatto quello che ho potuto, e se questo non è abbastanza, non so proprio cosa farci)
  • Aiutandola a vedere le cose da un altro punto di vista e a cambiare “stato”, sottolineando ciò che è evidente e la straordinarietà di Temple
  • Mettendosi al suo livello, utilizzando il noi, all’interno di un’esperienza, un ruolo, una sensazione che hanno in comune, quello di essere genitori e di sentirsi soli
  • Riprendendo il concetto precedentemente espresso da lei per cui lui non poteva neanche immaginare… che, parafrasato diventa nessuno è in grado di capire minimamente
  • Chiedendo conferma con una domanda orientata: non è così?, un’interrogativa cosiddetta parentetica, che spinge l’interlocutore a confermare quello che è stato detto
  • Rincorniciando il significato del lasciarla in un Istituto, dall’abbandonarla al primo passo per aiutarla a farsi strada nel mondo.
  • Riconoscendo e legittimando il suo modo di proteggere la figlia
  • Andando in guida, facendole fare un passo in più, portandola oltre, a quando la figlia dovrà affrontare la vita
  • Condividendo e valorizzando la diversità di Temple. Ripetendo l’affermazione della madre: Diversa, ma non inferiore

 

Una nuova scoperta sorprende Temple: la sua nuova compagna di stanza al college è non vedente e, diversamente da lei ma come lei, pensa, ragiona e impara attraverso un canale specifico e preferenziale: l’udito. Con lei ha qualcosa in comune, si sente capita e si riconosce in lei; con lei crea un legame più profondo.

Amica: Sei più tranquilla adesso? È l’effetto della macchina degli abbracci?

Temple: La mia voce è cambiata così tanto?

Amica: Ricordati, ti vedo attraverso la voce.

Temple: Riesci a ricordartene tante di voci?

Amica: Certo. E ricordo anche il suono di diversi posti.

Temple: Allora siamo uguali. A me succede lo stesso con le immagini.

Arriva il momento della laurea e Temple, nel suo discorso, racconta:

Ho sempre voluto comprendere la dolcezza che le persone provano quando vengono abbracciate dalle loro mamme; ora sono riuscita a costruire una macchina che mi permette di farlo.
Sembra un filo che si ricongiunge, qualcosa che si riaggiusta.

Questa condizione psicologica ha un nome: AUTISMO.

Ora però, grazie alla mia macchina, conosco due nuove parole: GENTILEZZA e AMORE che mi hanno fatto raggiungere questo momento della mia vita.

Nel raccontare la sua storia ricorda a noi, secondo me, alcune cose importanti, tanto più nel momento storico che stiamo vivendo:

  • La dolcezza di un abbraccio, che è davvero in grado di ricongiungere, di riaggiustare qualcosa dentro di noi;
  • Dare il nome giusto alle cose, qualcosa che è fondamentale per affrontare nel migliore dei modi qualsiasi difficoltà
  • Gentilezza e amore, qualcosa che abbiamo dato per scontato e che scontato non è o che, in qualche caso, abbiamo dimenticato.

Non abbiamo la macchina degli abbracci di Temple Grandin, ma forse possiamo trovare un modo per costruire e far funzionare la nostra macchina di abbracci virtuali finché il Covid non ci consentirà quelli dal vivo.

Quanto a gentilezza e amore… chissà se considerarle anche noi due nuove parole, da scoprire o riscoprire, da imparare o reimparare potrà aiutarci a costruire un mondo migliore.

Il risultato è che la madre di Temple si fida del prof. Carlock e affida sua figlia a questa scuola.

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2 commenti

  • GIUSEPPINA GERASTI 3 anni fa

    Sono pienamente convinta che l’amore faccia miracoli.
    Per cui il mio consiglio e’ solo questo: Cercate sempre di usare l’amore di fronte a qualsiasi problema la vita
    vi presenti. Pinuccia

    Rispondi
  • ilimatrix 3 anni fa

    Meravigliosa scena!!!!! Grazie per la visione!!!

    Rispondi

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