Scena sul tempo: Prendiamoci un caffè

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Di Letizia Saturni

un-caffe-a-berlinoNon c’è luogo e tempo per gustare/degustare un caffè nelle sue variegate e molteplici preparazioni. Di contro, pur rappresentando la bevanda più diffusa nel mondo e probabilmente anche la più studiata, è difficile, in forza proprio della contraddittorietà della documentazione, stabilirne un ideale consumo senza pregiudizi e senza arroganti certezze. Ora però… prendiamoci un caffè assaporando qualche sequenza!
Ci servirà per conoscerla meglio ma soprattutto per renderci conto che trattare il caffè come bevanda è riduttivo. Questa bevanda, scura e profumata, caratterizza ogni aspetto della vita e della cultura e summa massima la troviamo con Niko in Oh boy, un caffè a Berlino (2012 di J. O. Gerster), che esprime nel caffè l’oggetto del suo desiderio ma che kafkaniamente non riesce ad ottenerlo a fine giornata.

Nelle prime righe della presentazione di questa rubrica ho scritto che il cinema è considerato la settima arte in quanto – come suggerito anche da A. Kurosawa – ha caratteristiche proprie della letteratura, ha connotati propri del teatro, ha un aspetto filosofico e attributi improntati alla pittura, alla scrittura e alla musica.

Ora, nell’affrontare il tema di questo secondo articolo – il caffè, appunto – troviamo la prova-provata della veridicità di quanto appena scritto!
E’ J. Sebastian Bach che, nel 1734, scrive la Cantata del Caffè, nella quale la protagonista rivendica il diritto alla degustazione e, suscitando le rimostranze del padre, pone questo suo diritto tra le condizioni del suo consenso alle nozze. Nel 1750 Goldoni introduce il caffè a teatro e scrive La Bottega del Caffè; sarà invece l’abate P. Chiari a renderlo protagonista del dramma giocoso Il caffè di campagna. Si arriva così al cinema ma, da marchigiana quale sono, permettetemi ancora una ultima battuta storica ricordando Cenerentola di G. Rossini del 1817, in cui il caffè è veicolo di tenerezza, servito dalla protagonista per colazione ad Alidoro, ma diventa poi oggetto di rimprovero da parte delle sorelle Clorinda e Tisbe.

Torniamo al cinema… Il caffè nel cinema compare per la prima volta nel 1931, nel film Natale in casa Cupiello. Lucariello ha un risveglio amaro a causa della pessima qualità del caffè che sua moglie Concetta gli ha servito.

L’industria cinematografica nel suo primo decennio di vita trovò nell’epoca del vecchio west una miniera inesauribile di leggende da portare sullo schermo, e con esse l’alimentazione del cow boy. Perché dire ciò? Perché fagioli, carne, pane abbrustolito (sourdough), stufato di vitello (son of a bitch stew) ne sono gli elementi caratterizzanti, ma tra questi spicca il nostro protagonista: il caffè.
E’ veicolo di una convivialità ancora acerba e fredda, spesso consumato forte come una revolverata, bevuto a piccoli sorsi e lentamente (perché bollente, Vento di terre lontane, 1956, D. Daves), a differenza del whisky che viene gettato giù tutto d’un fiato (!).
Il caffè è protagonista assoluto del riposo dell’eroe e trova la sua icona nel bivacco. Al crepuscolo i protagonisti disposti in uno spazio circolare, attorno al fuoco, quasi a delineare un improvvisato albore di società, gustano la bevanda fumante e calda fino a gettarne poi quantità discrete sul falò per spegnerlo.
In altri film lo si consuma all’alba (I cavalieri del Nord Ovest), oppure per smaltire una sbornia (Ombre Rosse), e ancora… C’è sempre qualcuno che si allontana con una tazza in mano (I sette assassini, L’oro della California), oppure l’eroe del West trae dal caffè conforto alla sua perenne solitudine.
Ben nota è la sua preparazione eseguita per bollitura di una libbra di polvere in poca acqua bollente e il test consiste nel gettarvi il ferro di cavallo. Se questo non sta a galla buttare altra polvere.
Il caffè infine diventa anche merce di scambio con Kevin Costner in Balla Coi Lupi.

Ben altra storia nella filmografia italiana… Partendo dal neorealismo, si mette subito in luce le peculiarità di una bevanda corposa, profumata e consistente, preparata non per bollitura, ma con la moka o meglio… con la caffettiera napoletana nell’ottocento, con la moka nel novecento, mentre negli anni duemila sono caratterizzati dalla cialda e dalla capsula monodose da inserire negli apparecchi elettrici.

Il caffè rimane comunque la bevanda-simbolo sempre presente che segna i ritmi della giornata, dà le pause nel lavoro, veicola ospitalità ma al tempo stesso è strumento di grandi concetti della vita.

Di queste, ultime testimonianze si raccolgono con Troisi, in cui il caffè – o meglio la moka del professore – serve per trattare il tema della solitudine. Ancora evidenti se ne raccolgono in buona parte dei film con Totò, quali I due marescialli, dove la tazzina di caffè viene utilizzata come mezzo per spiegare il capitalismo; Totò Terzo Uomo, in cui l’attore ordina un caffè corretto al cognac, o Miseria e Nobiltà, La Banda degli Onesti, fino a I Tartassati, in cui Totò afferma di prendere tre caffè alla volta per risparmiare due mance, o anche Guardie e Ladri dove sorseggia il caffè direttamente dalla moka.

Con Edoardo De Filippo in Questi Fantasmi sentiamo recitare: “…quando morirò tu portami il caffè e vedrai che io resuscito come Lazzaro”, diventando così bevanda miracolosa, contro il caffè all’arsenico in Notorius di A. Hitchcoch dove è strumento di morte.

E’ tema di un esilarante ritornello interpretato da Tognazzi nel film Venga a prendere un caffè da noi, o anche nel filone della commedia sexy all’italiana. In Vieni Avanti Cretino (1982 di L. Salce), il caffè viene ordinato in più di una scena e nei modi più impensati, fino al caffè all’Utopia, espressione della variopinta e variegata società mediterranea quale siamo.

Tornando a Oh boy, un caffè a Berlino (2012, di J. O. Gerster) è un diario – divertito e ironico, scandito dalle sonorità jazz – della rivoluzione degli stati d’animo di Niko, il protagonista. Niko passa di scena in scena, di situazione in situazione, nel vano desiderio di una tazza di caffè decente in una città frenetica e malinconica, come fosse quasi impossibile trovarla. La realtà non è questa, infatti le giornate di buona parte delle persone iniziano con una tazza di caffè ad un adeguato prezzo! Qui la tazza di caffè rappresenta l’unica cosa di cui Niko è certo mentre in tutte le altre situazioni nelle quali incappa nel resto del film è sempre indeciso.

Ciack-nutrizionali:

1 – In riferimento a persone sane si può affermare che fino a 3 tazzine di caffe/die possono essere bevute. Meglio se bevute a fine pasto piuttosto che a stomaco vuoto.

2 – I cardiologi hanno sdoganato il caffè anche per gli ipertesi: 1-2 tazzine di caffè/die consigliando una miscela arabica piuttosto che una miscela robusta poiché ha una quantità di caffeina dimezzata.

3 – La comunità scientifica è ormai allineata sulla quantità giornaliera di caffeina inferiore a 300 mg, che si possono raggiungere con le 3 tazzine di caffè. Attenzione però a non aggiungere cappuccini (70-80 mg di caffeina) o una lattina di cola (35-50 mg di caffeina) o ancora i 30-40 mg di caffeina nascosti in una barretta di cioccolata di 60 g!

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Oh boy un caffè a Berlino“Oh Boy, un caffè a BerlinoUn film di Jan Ole Gerster con Inga Birkenfeld, Martin Brambach, Michael Gwisdek – Titolo originale “Oh Boy”. Germania, 2012

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