Incollati ad una scrivania, passivi dinanzi a un macchinario, silenziosi di fronte alle ingiustizie. Lavoro e divertimento possono sembrare un binomio insolito e alquanto sarcastico, eppure è possibile far coesistere entrambi. Come?
Le opzioni sono essenzialmente due: svolgere un lavoro che amiamo oppure amare il lavoro che svolgiamo. In entrambi i casi, il filo conduttore è la passione. Il trucco è aggiungere ad ogni mansione qualcosa di unico, affinché i nostri talenti possano trovare una via di fuga e non rimanere inscatolati nella mente e lasciati ammuffire assieme alla gioia di esprimerci.
Spesso il problema è che ci ritroviamo a ricoprire ruoli che non si sposano con le nostre aspirazioni eppure non troviamo il coraggio di alzarci dalla sedia e dare le dimissioni perché ci aggrappiamo alla flebile speranza che un giorno qualcosa cambierà, qualcuno ci noterà, il capo ci darà la promozione che tanto desideriamo, a costo di sopportare richieste assurde e straordinari non retribuiti. È il caso di Charlie, assistente di Rick, che si lascia trattare da zerbino pur di non perdere il suo estenuante posto di lavoro:
“Perché lavori per lui? Perché non te ne vai e … ciao!”.
“Sei pazza! Ho passato tre anni a sbrigare ogni schifezza di incombenza, non posso andarmene”.
Per citare una frase del film “Conversazioni con Dio”, se potessi parlare a Charlie gli direi “Non ne hai ancora avuto abbastanza?” : tre anni infernali privi di rispetto e gratificazione sono più che sufficienti per decidere di mollare tutto.
“Dovrei ricominciare da capo, è da perdenti”.
Un perdente è colui che non osa, colui che si lamenta della situazione lavorativa attuale ma non fa niente per cambiarla. Chi decide di ricominciare è un vincente.
Quello di Charlie infatti è un preconcetto, una falsa convinzione:
“Non piace a nessuno il proprio lavoro, non è questo il punto. Fai il migliore, quello che ti rende di più”.
A dispetto del modo di pensare di Charlie, oggi sono in aumento le persone che decidono di lanciarsi in nuovi ed entusiasmanti percorsi lavorativi.
Il profitto dovrebbe sempre andare di pari passo con la serenità di svolgere una professione che amiamo, che sia d’aiuto a noi stessi e agli altri. Harper, l’amica di Charlie, questo lo ha intuito e, quando lui ribatte con la stessa domanda (“Perché lavori per Kirsten?”), la risposta è:
“ … voglio scrivere il genere di articoli che mi commuovevano quando ero ragazzina e Kirsten è la migliore fra le giornaliste!”.
Ovviamente, se da un lato è corretto ispirarsi a qualcuno che, nel campo che aneliamo, ha raggiunto ottimi risultati, dall’altro è importante non diventarne una copia e conservare la nostra autenticità. Non bisogna cambiare ciò che siamo solo per ottenere il plauso e la felicità altrui:
“ È come se volessi far colpo su di lei, riuscire a farmi apprezzare.”
Harper brama l’approvazione di Kirsten perché in realtà non la trova in se stessa. Pensa che quello che scrive sia brutto e attraversa un momento di profonda crisi in seguito al licenziamento. La coinquilina ne gioisce perché sa che non era il suo lavoro dei sogni e la spinge, a suon di cuscinate, a credere in se stessa, a sfruttare il tempo che adesso ha in abbondanza per scrivere senza giudicare e finalmente riesce a completare un articolo.
“… se voglio diventare una scrittrice allora devo smettere di trovare scuse per non scrivere!”.
risponde Harper quando il suo capo, riconosciuto il suo talento e il suo prezioso contributo sul posto di lavoro, le chiede di tornare e lavorare per lei.
Procrastinare significa non voler affrontare il cambiamento, non lasciare che il sipario si apra per paura di fallire o addirittura di avere successo… perché significa scoprire chi siamo davvero.
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